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TRA TATUAGGIO E MUSICA - INTERVISTA A DEATHMETAL TATTOOS

  • WorstCollective
  • 6 mag 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

Se Worst dovesse scegliere il suo ambassador ufficiale sarebbe senza ombra di dubbio Deathmetal tattoos.

Il nickname di instagram scelto da Marco Tafuri lascia pochi margini di fraintendimento, esplicitando il connubio tra le due arti che preferiamo: il tatuaggio e la musica estrema.

 

 A proposito della genesi di queste passioni, Marco si racconta: «Disegno e faccio musica fin da quando ero piccolo» la passione per la musica è cominciata, insospettabilmente, nel coro dell’oratorio con Suor Agnese e una chitarra classica. «Poi ho chiesto la prima chitarra elettrica e le cose sono cambiate». A 12 anni iniziano i primi bombing sui treni con le compagnie più grandi e le prime esperienze con le band, infrangendo definitivamente il sogno materno di un Marco chierichetto, «Scusa mamma».

 

La prima esperienza con il tatuaggio invece inizia nei giardinetti sotto casa nella periferia milanese: «Uscivo con questa ragazza, voleva una croce sulla spalla, avevo chiesto a tutto il quartiere come fare, alla fine ago e china e gliel’ho fatta».

«Il tatuaggio mi piaceva perché nella scena hardcore vedevo un sacco di gente super tatuata, quando vedevo i primi tappezzati mi dicevo: da grande voglio essere così […] poi ho fatto un piccolo percorso di apprendistato, ma io preferivo suonare, quindi ho abbandonato l’idea fino al 2006/07».

 

«A far tornare la scintilla per il tatuaggio mi hanno aiutato le frequentazioni in Inghilterra, che mi hanno avvicinato ad uno stile di tattoo tradizionale fatto in maniera un po’ più sperimentale, con linee bold, solide…che per me facevano da link con le grafiche skate anni ‘80».

 

L’approccio di Deathmetal tattoos alle sue discipline si fonda sulla ricerca e sul continuo scambio con altre persone: «L’importante è che ci sia un concetto e un’anima dietro: nella musica come nel tatuaggio è fondamentale l’esplorazione e la condivisione […] dietro questi mondi c’è un profilo molto simile: una persona a cui non basta mai un cazzo, che vuole andare sempre oltre, che ricerca».

«La vera gratificazione prima del ritorno economico è l’esperienza che fai fare al cliente o al tuo pubblico. […] Deve venire escluso chi si sente la rockstar, sia del tattoo che della musica: stai in mezzo alle persone, non porti fuori o al di sopra, nessuno ti ha mai messo in questa posizione».

 

Abbiamo deciso di mettere subito in difficoltà il nostro intervistato chiedendogli di scegliere un disco o un’artista preferito, e senza arrovellarcisi troppo Marco ha riposto con sicurezza: «Come disco, Leprosy dei Death: non c’erano tantissimi dischi così all’epoca, è stato un trend setter. […] Al di là della tecnica (in generale) c’è la visione, quello che trasmette il tuo riff o un tuo disegno, è la fotografia di quello che volevi esprimere in quel momento, quindi ha valore artistico».

 

Questo discorso è perfettamente confacente ai lavori di Keith Haring, altra fonte di ispirazione di Marco: «Zero tecnica ma tutta anima, non era importante il materiale, ma l’action vera e propria: per me questa è l’espressione massima dell’arte, non mi interessa quello che stai facendo ma il modo in cui lo fai e quanto ci stai credendo».


Marco è il proprietario del Red Couch studio, uno studio di tattoo su strada in centro a Milano, e la grande frequenza di clienti l’ha portato a tatuare un po' di tutto senza voler ostentare l’immagine del “tatuatore figo che fa solo la roba che piace a lui”.

«Mi sento un artigiano: lavoro sulla pelle delle persone. Ci sono persone che hanno gusti più simili ai miei, ma posso anche cambiare stile e non mi sento svilito: ci sono tante persone che sono entrate in negozio con una scrittina perché ne avevano bisogno in quel momento, io faccio del mio meglio e lo posto: magari l’esperienza è stata intensa e la persona mi ha lasciato qualcosa». 

 

Riflettendo su come è cambiato il mondo del tatuaggio Marco ci racconta che «il tattoo è cresciuto tanto ed è diventato per tutti; il dark side è che sono nate tutte ste scuole di tatuaggio che hanno un po’ illuso che chiunque potesse lavorare in questo ambito, quando poi gli studi, spesso, non hanno posto».

«A livello artistico ci sono grandi impennate,  Servadio, Brody Polinsky, tutta la scuola spagnola ecc»

 

 Avendo viaggiato tanto viene naturale il parallelismo a livello artistico tra il nostro paese e l’estero: «In Italia abbiamo molte potenzialità, una cura del dettaglio più mirata, c’è tanto stile…ma poi ci sono anche tanti blocchi sociali che rallentano la spinta che l’italiano avrebbe. In Italia se ti fai certi tatuaggi a lavoro non ci puoi andare».

 

«Anche per quanto riguarda il panorama musicale qui c’è tanta carne al fuoco, tanta gente che vuole rompere il culo ma non ha i mezzi, l’italiano si deve arrabattare con l’economia che ha e non ha alcun aiuto dallo Stato.

Anche il valore che si dà alla musica come al tatuaggio, qui è valorizzato poco o nulla, non ci sono tutele».

 

Rimanendo nella sfera musicale, le influenze di Marco sono molteplici e si intersecano le une alle altre creando un pattern di stimoli diversi ma perfettamente comunicanti.

Fin da ragazzino gli ascolti erano dei più disparati, partendo dall’eurodance anni ’90 o l’hip hop dei Wu tang, per poi innamorarsi del punk con Punk in Drublik dei NoFx, fino a ritrovarsi nella scena hc e death metal anni 80/90.

«Ascoltavo tutto perché avevo fame, volevo imparare a suonare […] avevo voglia di scoprire la musica a prescindere dal genere».

«Mi sentivo fuori da tutte quelle etichette (metallaro, punk ecc), mi sentivo un po’ giudicato perché ascoltavo tanta roba diversa».

 

Questa fame lo porterà a suonare in diversi gruppi fino a stabilizzarsi con la death metal band Reaping Flesh e il quartetto hardcore straight edge Instinctive.

 

Deathmetal tattoo è come il protagonista del tuo film preferito quando avevi 15 anni: un personaggio inarrestabile, un artista, un musicista e un tatuatore che vive surfando sulle sue passioni, lavorando full time con l’arte e rimanendo fedele a quella scuola di pensiero “real”, che non vuole lustrare la cultura underground a tutti i costi, ma lasciarla libera di essere un’anima pulsante e imperfetta.


TROVI IL VIDEO INTERVISTA COMPLETO QUI




 

- Testo a cura di: @jagaxx.x


- Video, Foto e Grafiche: @fear_mare - @richmentari - @lafigliadisatana


- Intervistatore: @zanirhello - @fear_mare


 
 
 

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