BLAIR-I NOMADI DELL'HC
- WorstCollective
- 7 mar 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Il 20 ottobre 2023 siamo andati al CIQ di Milano per sentire e intervistare i Blair, rappresentanti del metallic hardcore capitolino, dissidenti del purismo e spinkicker erranti, ma andiamo con ordine.
Il Blair Witch Project nasce alla fine del 2018/19 inscritto in quel grezzume punk/beatdown che ad oggi è stato limato da influenze metalcore anni ’90, così da avviare l’evoluzione di una band che sta ancora trovando la sua identità definitiva.
Oltre che nel contenuto, la ricerca di cui ci parlano i Blair, si ritrova anche nella forma: dagli angeli decadenti e il Prometeo divorato dall’aquila dei primi singoli, il pendolo estetico della band oscilla tra una fine morbosità e il marciume del meglio gore anni ’80, arrestandosi sul confine tra cruda realtà e perturbante idea.
Tutto questo lo ritroviamo in Martyrs, film del 2008 di Pascal Laugier, che la band sceglie come intro dei propri live, settando un mood pulsante e ultraterreno che sconfina nel torture porn e sintetizza perfettamente quella crasi di arguzia e sudiciume che fa brillare gli occhi ad ogni bimbo dell’horror. «Siamo tutti fan dell’horror, e Martyrs è un film crudo e psicologico, che parla di trasfigurazione e demoni interiori, cosa ci si porta dentro, cosa vivi tu personalmente e cosa gli altri vedono».
Con questo i Blair ci suggeriscono di quanto in realtà vogliano anche lasciare respirare le varie interpretazioni, senza imboccare gli ascoltatori ma lasciando la potestà di libere pippe sui significati più astrusi che a tutti piace farci: «vogliamo lasciare anche un po’ di libera interpretazione, se dai il significato così apparecchiato questo perde di intensità» insomma, «niente spiegoni, arivace.»
«È figa pure l’interpretazione, e il fatto che ognuno si rispecchi a suo modo in quello che vede, percepisce e scambia con le altre persone».
A livello di scrittura invece i ragazzi non si frenano nell’essere espliciti, e oltre alle trame più introspettive, specchio di turbe giovanili e battaglie interiori (come Forsaken), propongono anche una “musica attiva” con messaggi dalla spinta politica, uno schierarsi verso ciò che è aprioristicamente “giusto” e umano: «Siamo convinti che l’hardcore debba essere anche un po’ impegnato politicamente, e nei nostri testi ci sono dei chiari messaggi anti razzisti e anti fascisti. In realtà non è solo una questione politica, chiunque dovrebbe essere anti razzista e anti fascista».
Il rigetto della violenza e della ferocia dell’essere umano è sputato senza inibizioni in Cry for Revenge
«Just another failure for humanity/ I’ve seen what mankind is capable of/ History teach us nothing/ Greatness of a nation measured with millions of human lives».
La scelta di portare un certo attivismo è figlia anche dell’ambiente in cui i Blair si sono formati, quello della scena romana, intrisa di quel benevolo antagonismo e provocazione del punk/hardcore, ma che d’altra parte sembra essere cristallizzata in un passato forse un po' inattuale.
«Roma, negli anni passati, ha dato origine a band che adesso sono culto, ma oggi non c’è solo quello. A Roma le persone rimangono forse un po’ troppo aggrappate al passato, ma è giusto anche fare qualcosa di nuovo. Se è vero che la musica parla del tempo in cui vivi, l’Oi e il Punk che c’erano 20 anni fa non sono più adattabili alla società odierna, ci sono altri temi e questioni da trattare. Quella roba è qualcosa a cui guardare e a cui fare riferimento, ma bisogna andare avanti.»
La questione non è un problema puramente generazionale, e il gate keeping non è portato avanti solo dal tabagista con la giacca dei Ramones ma anche dai più giovani, che a volte sembrano voler tirare il freno a mano per la paura di lanciarsi verso qualcosa di nuovo: «c’è poca voglia di rischiare, un po’ la gente ha paura di fare la band diversa, perché vogliono farsi vedere, vogliono suonare, e quindi vanno sul sicuro».
È forse questo uno dei motivi che ha spinto la band a plasmarsi un destino girovago, a migrare verso altri lidi e collezionare frammenti di scene diverse ma con un comune denominatore.
I Blair ci parlano in maniera molto positiva dell’accoglienza che hanno avuto a Milano (e non solo), e di quanto i rapporti e le connessioni instaurate con altre band e aficionados siano un asso quando si parla di DIY e del muoversi senza etichetta.
Ne è un esempio lo split con i Jorelia nato così a buffo, una stretta di mano tra due generi diversi ma con molti punti di contatto.
«Dopo un live a Milano insieme ci siamo trovati molto bene e in sintonia con loro, come se ci fossimo sempre conosciuti, avevamo le stesse attitudini e modi di pensare sulle cose».
«Abbiamo fatto qualche altra data un po’ in giro per l’Italia e, alla fine, ovunque andiamo siamo sempre in mezzo agli amici, ed è grazie a loro che spesso troviamo le date. Conoscendo e parlando con la gente… ci si aiuta, il diy non significa fare le cose male, ma sbattersi per fare le cose bene contando solo su te stesso».
L’hardcore web si sta tessendo e a muovere i fili sono le band stesse.
L’intenzione è quella di creare un movimento senza venire imboccati dall’alto ma essendone gli unici artefici; è usare quel metodo di studio alternativo che è il DIY e portare in alto la bandiera di una prospettiva diversa e autentica.
TROVI IL VIDEO INTERVISTA COMPLETO QUI
- Testo a cura di: @jagaxx.x
- Video, Foto e Grafiche: @fear_mare - @richinyrmouth
- Intervistatore: @zanirhello - @jagaxx.x - @nonlosorick_art
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